Il sogno si è realizzato. Dopo oltre due anni di preparazione, allenamenti, aerei, gare in giro per il Mondo, fatica, infortuni e medaglie, Luigi Busà, capitano della Nazionale di karate e alfiere del movimento italiano, si è qualificato per le Olimpiadi di Tokyo 2020 nei -75 kg. Venerdì 28 febbraio, durante la prima fase della tappa di Salisburgo di Premier League, l’Azzurro ha conquistato l’obiettivo tanto atteso diventando il terzo karateka dell’Italia ai Giochi dopo Viviana Bottaro e insieme a Mattia Busato. A pochi giorni dal grande risultato, Busà è un fiume in piena di emozioni e parole.
Niente bronzo a Salisburgo ma il risultato più importante è arrivato
A Salisburgo non ho combattuto nell’incontro per una medaglia per precauzione. Avevo preso una botta al mignolo dopo Dubai e mi avevano colpito di nuovo lì, così lo staff mi ha detto che non valeva la pena rischiare. A fine marzo ci saranno gli Europei a Baku e mi hanno convinto. Inoltre avevamo festeggiato il giorno prima e avevo un po’ staccato.
L’emozione quando hai scoperto della qualificazione?
I ricordi sono sfuocati. Ho fatto il secondo incontro della tappa e dalla tribuna mi guardavano strano. Gli ho chiesto di non dirmi nulla ma non hanno resistito. Sono scesi e abbiamo pianto di felicità, è stato un mix di emozioni ma poi li ho cacciati perché dovevo concentrarmi. Volevo esplodere dopo due anni e mezzo che giro il mondo per qualificarmi alle Olimpiadi con gare ogni due settimane intervallate da terapie per recuperare al meglio. È stato difficilissimo perché solo quattro per categoria sarebbero stati sicuri della partecipazione. Venerdì notte non ho dormito, già non dormo mai per l’emozione e l’adrenalina durante le gare, figuriamoci dopo questa.
Se dovessi ripercorrere il tuo cammino verso Tokyo in cinque tappe quali sarebbero?
La prima nel 2006 quando ho vinto i campionati del mondo a 18 anni (record ancora imbattuto ndr). Poi il Mondiale 2012 in Francia che è stato quello con 25mila persone nel palazzetto e ho vinto la finale con Agayev (l’azero, fortissimo rivale di una carriera ndr). La terza tappa quando mi sono infortunato a una costola che ha danneggiato un rene e ci siamo spaventati tutti. Il medico mi consigliò di stare fermo tre mesi ma dopo 40 giorni ero agli Assoluti e ho vinto. Lì ho scoperto di avere una marcia in più per accorciare i tempi di recupero. La penultima tappa è stata la Premier League di Tokyo 2018 in cui ho battuto tutti i più forti con facilità chiudendo la finale con un calcio in faccia a un giapponese (Ken Nishimura ndr). Alla fine ero convinto di avere i superpoteri. Ultimo ricordo chiave quello di venerdì a Salisburgo quando mi hanno detto che ero ai Giochi.
Quando hai iniziato a pensare alla qualificazione? Hai mai avuto paura di non farcela?
Non ho mai guardato la classifica del ranking perché il patto con me stesso era di non fare conti ma solo risultati, anche se i social non hanno aiutato. Da settembre a Salisburgo abbiamo fatto 7 gare e ne ho sbagliata solo una in Cile, tornato dalle feste di Natale. I concorrenti per la qualificazione ogni tanto perdevano quindi sapevo che potevo farcela. Solo dopo la finale di Dubai contro Agayev (persa all’ultimo secondo) ho deciso di vedere il ranking.
Ho avuto tanta paura perché sono stati due anni e mezzo con due operazioni (entrambi i gomiti per pulizia) che mi hanno tenuto fermo due/tre mesi. A Settembre 2018 ho saltato la prima gara di qualificazione a Berlino, poi Minsk per l’infortunio alla costola. A Luglio 2019 mi sono operato l’altro gomito e facevo tre volte al giorno terapia per recuperare il prima possibile. Sono rientrato a Tokyo 2019 ma ho perso con l’iraniano. Si diceva che ero finito ma non mi affosseranno mai. Facile salire sul carro del vincitore ora. La paura c’era ma ho aspettato troppo tempo questa occasione. Ho trascurato famiglia e amici ma mi sono concentrato e ce l’ho fatta.
Come ti preparerai da qui ad Agosto?
Il primo obiettivo sono gli Europei di Baku a fine marzo dove voglio vincere di nuovo. Mi testerò anche con qualcuno che potrebbe arrivare alle Olimpiadi, magari ancora con Agayev. Batterlo a casa sua mi piacerebbe. Dopo gli Europei decidiamo con lo staff il piano: quali test fare e quando allenarsi. Sicuramente non stravolgerò i piani ma cercherò di affinare tutto fisicamente e mentalmente.
Agayev primo avversario ma nella tua categoria c’è tanta qualità. Chi sarà protagonista insieme a voi?
Alle Olimpiadi sarà una gara strana. Lui è il nome che risalta ma ha anche 35 e va considerato. Ultimamente non ha fatto vedere grandi cose ma si preparerà al meglio. Poi c’è l’iraniano Asgari Ghoncheh, campione del mondo in carica, e il Giapponese che giocherà in casa. Infine gli outsider.
Perché hai iniziato a fare karate?
È stato amore a prima vista. Ho iniziato perché il karate è parte della famiglia Busà. Io e Lorena siamo diventati professionisti di questo sport mentre le altre due sorelle sono avvocato e in polizia penitenziaria. Papà è stato il maestro con cui ci confrontiamo tutti i giorni. Ci ha portato in palestra che gattonavamo e ha avuto ragione. Vengo da Avola, in provincia di Siracusa, e mi sarei dovuto spostare perché c’è poco lavoro. La realtà di giù è molto diversa da Roma, dove vivo da 12 anni, o Milano. Il karate mi ha salvato da tante brutte strade che potevo prendere. Magari all’inizio avrei fatto solo delle bravate, ma poi potevano diventare cose serie. Sarei diventato un mezzo criminale (ride ndr). Non amavo la scuola e questo sport mi ha dato la disciplina di cui avevo bisogno.
Tokyo, se le cose andassero bene, potrebbe essere un buon momento per lasciare?
Non lo so. Due anni fa dicevo così. Ora mi sto innamorando di nuovo. Ci penso se vinco l’oro, se prendo un’altra medaglia chi lo sa. C’è il Mondiale di Dubai a Novembre e ho la pulce nell’orecchio. Intanto punto a vincere l’Olimpiade poi vedo. Dipende tutto dalla testa perché il fisico acciaccato ce la fa, i dolori si superano.
Olimpiadi ad agosto e matrimonio a settembre: il 2020 sarà un anno difficile da dimenticare
Il 2020 sarà l’anno dell’anello al dito e della medaglia al collo. Sono teso molto di più per il matrimonio. Le Olimpiadi saranno una passeggiata di salute in confronto (ride ndr). Abbiamo programmato tutto e sarà una grande festa. Speriamo che Laura (Pasqua ndr) nel torneo di qualificazione di Parigi possa farcela. Andare insieme sarebbe fantastico prima di diventare una famiglia.
Il tuo modello come karateka?
Non ne ho solo uno: Otto Wayne era fortissimo. A Catania fece uno stage e lo guardavo come un Dio, mi metteva soggezione. Ma penso anche agli italiani: Salvatore Loria che poi è diventato mio rivale, le gambe e l’eleganza di Stefano Maniscalco, il cuore di Ciro Massa. Da ognuno ho cercato di prendere qualcosa.
A carriera conclusa cosa vorresti fare?
Voglio fare l’imprenditore ma non solo per i soldi. Voglio portare business nel mondo del karate. Si dice sempre che è uno sport minore, che non ci sono risorse. Siamo tanti e se qualcuno studia e mette in campo un programma serio per fare business il karate crescerà ancora. Non possiamo aspettare le Olimpiadi per far parlare di noi. Non dobbiamo far emergere solo i campioni che ce la fanno ma anche chi lotta ma non riesce. Siamo troppo legati ai risultati e non mi piace. Conosco storie bellissime che magari non vengono raccontate. Ho tante idee ma voglio prima studiare bene e migliorarmi. Perfezionare l’inglese sarà importante. Se però mi chiedono di fare l’allenatore e mi piace… ma anche in quel caso cercherei di rivoluzionare il metodo, sempre dopo aver studiato. Sono sicuro di una cosa: non voglio fermarmi. Non voglio guardare a chi sono stato, quello sarà utile giusto per raccontare gli aneddoti ai miei nipoti, ma solo avanti. Voglio essere il numero uno in tutto quello che faccio.
Intervista di Adriano Di Blasi